venerdì 19 novembre 2010

Quale novità, a quale prezzo?

In questi giorni è stata lanciata con enfasi la “novità” del cosiddetto “see and treat”.
Praticamente una modalità di gestione di alcune piccole urgenze che quotidianamente si presentano in ogni pronto soccorso e che prevede l'utilizzo di una particolare via preferenziale con gestion diretta da parte di infermieri che abbiano compiuto un corso specifico.
Il tutto per l'abbattimento dei tempi di attesa nei sempre più affollati pronto soccorso.
La cosa potrebbe sembrare a prima vista una cosa encomiabile, da sostenere.
La regione Toscana opportunamente ha iniziato un periodo di sperimentazione di circa sei mesi, dopo valuterà i lati positivi e quelli negativi; in maniera asettica, sperimentale, mi auguro.
Il problema però che si pone e che non balsa immediatamente agli occhi è di tipo culturale e normativo.
Non a caso metà degli ordini medici di tutta Italia hanno espresso dubbi. Non solamente, almeno sgombriamo il campo da falsi preconcetti, per una ragione di difesa della “casta” medica, che forse potrebbe anche esserci ma mi interessa meno.
Quello che si rischia con tale operazione se non condivisa e ben preparata è quello di aprire un vulnus nella già precaria figura del medico.
Il problema è squisitamente culturale e deontologico. Quale ruolo avrà il medico nel futuro della sanità pubblica? Tutto in questi anni ha fatto si che l'autorevolezza e la passione della figura professionale medica arretrasse. Una classe medica troppo chiusa su se stessa e giustamente ritenuta conservatrice, alla ricerca di interessi di nicchia che ne hanno minato la capacità di intervento unitario, è stata la prima causa di tale arretramento culturale. Ma le responsabilità vanno anche ricercate in un debole ruolo politico nella difesa dell'arte medica
In un periodo di grandi cambiamenti, anche per la sanità livornese (nuovo ospedale per intensità di cura, territorializzazione, see and treat), il ruolo del medico deve ritornare centrale nell'organizzazione e nella programmazione della salute del paziente-cittadino.
Non possiamo rischiare oggi di creare ulteriore confusione di ruoli, di competenza.
Il grave rischio è che proprio quel cittadino-utente-paziente che vogliamo mettere al centro di un percorso di salute nuovo, sia attore invece sempre più marginale delle proprie scelte.
Non è certo una questione di guerre contro qualcosa o qualcuno ma mi sembrano opportune le parole di Amedeo Bianco, presidente nazionale dell'ordine dei medici :”E' importanrte che il ruolo del medico resti centrale e di garanzia per il cittadino nei percorsi di diagnosi e cura e che il medico non sia emarginato o "bypassato". Valuteremo con cautela e seguiremo con estrema attenzione tale sperimentazione; questo non per una sorta di 'guerra' tra corporazioni ma in virtù delle garanzie da dare al cittadino".
Staremo a vedere.

venerdì 5 novembre 2010

Ritornare alle fonti

LA REPUBBLICA - 4/11/2010


L'INTERVISTA
Tettamanzi: "Immoralità dilagante
Italia malata come ai tempi della peste"
Il cardinale, arcivescovo di MIlano, punta il dito contro le vicende di Berlusconi. "Ogni giorno, leggendo i giornali, si ha la sensazione di sprofondare sempre più in basso. Per chi ha ruoli istituzionali, il privato è anche pubblico"
di ZITA DAZZI


Dionigi Tettamanzi
MILANO - "L'Italia di oggi è malata, come lo era Milano ai tempi di San Carlo e della peste. Ogni giorno leggendo i giornali si è portati a pensare che si stia sprofondando sempre più in basso. L'immoralità è dilagante, a tutti i livelli della società. Purtroppo, è diffusa l'idea che la vita debba essere per forza spensierata e allegra e talvolta si finisce per stordirsi sino all'ebbrezza. L'opinione pubblica sembra distratta da frivolezze, non avvertendo la gravità del momento. Ho però la speranza che prima o poi la nostra società trovi la forza di reagire e di rinnovarsi".


Non si preoccupa di celare l'amarezza, il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, alla vigilia della messa in Duomo nella solennità di San Carlo Borromeo, in occasione della quale leggerà una lettera di papa Benedetto XVI. Ed è proprio pensando a quelle che definisce le "miserie dell'attualità" che il porporato decide di sottolineare l'attualità dell'esempio di San Carlo, il grande teorico del rigore nella società e moralizzatore dei costumi.


Eminenza, che cosa pensa di quel che si legge in questi giorni sulle vicende private del presidente del Consiglio?
"Il problema non è quello che provo io, in questo clima di insipienza diffusa. Il problema più grave lo vivono i genitori che devono spiegare che cosa sta succedendo ai propri figli, alle figlie che hanno la stessa età di quelle
che si vedono in foto sui quotidiani in questi giorni. Di fronte a questo scadimento dei costumi bisognerebbe occuparsi di quel che filtra nel quotidiano delle persone, bisognerebbe dare voce al grave disagio che vive una società bombardata da messaggi distraenti e edonistici, in cui tutto si misura solo sulla base del divertimento, dello scherzo greve. Panem et circenses, si diceva ai tempi dei Romani".


Che cosa pensa che recepisca la gente?
"Si parla tanto di valori, si brandisce questa parola come un programma e uno scudo. Ma poi ci si comporta ispirandosi a principi molto diversi, si contribuisce a diffondere modelli educativi vuoti e pericolosi, soprattutto per le nuove generazioni".


Allude a chi in pubblico parla del valore della famiglia e poi in privato ha altre priorità?
"Non si deve scindere mai l'aspetto privato da quello pubblico. Soprattutto quando si hanno particolari responsabilità, in ogni ambito, il privato e il pubblico coincidono. E bisogna comportarsi in modo coerente con quel che si dice. Spesso alcuni mi dicono che mi dovrei interessare solo delle anime, ma sono convinto che devo occuparmi della persona nella sua integralità: anima e corpo insieme. E che quando si parla di valori, bisogna anche impegnarsi a creare le condizioni necessarie per realizzarli, altrimenti il discorso è inutile se non controproducente".


In questa situazione lei pubblica un libro dedicato a San Carlo ("Dalla tua mano", Rizzoli). Non le sembra una figura "inattuale" da proporre alla società di oggi?
"Me lo sono chiesto anch'io. Penso però che San Carlo sia quanto mai attuale, non solo perché proponeva uno stile di vita fortemente evangelico e umanizzante, ma perché la sua figura oggi ci inquieta, ci chiede di non accontentarci di quel che appare di facile conquista, di quel che viene comunemente accettato dalla società. Lui ci sprona ad essere presi dall'ansia del bene e del vero, per contagiare anche gli altri".


Lei ha parlato "dell'immoralità e disonestà che lacera la vicenda umana".
"La convivenza civile è minata dalla ricerca del successo a tutti i costi, è manipolata per strapparne il consenso, è tradita quando non è aiutata a cercare il bene comune. Bisogna amare instancabilmente, perdonando, donando tutto di sé, preferendo i poveri e gli ultimi. Il Borromeo attraversava la città ferita dalla peste, stava in mezzo alla gente, specie se povera e provata, non per essere populista, per guadagnare consenso e plauso, ma per vivere relazioni autentiche".


La Chiesa dà voce al disagio per la situazione politica italiana. Ma il vostro allarme non viene recepito. Lei stesso è stato spesso attaccato per le sue posizioni. Non si sente isolato?
"L'unico criterio per me è il Vangelo e la fedeltà ad esso. Anche quando è scomodo, anche quando impone un prezzo da pagare, anche quando la fedeltà relega a posizioni di minoranza o porta ad incomprensioni o irrisioni. Anche San Carlo diceva cose "inattuali" al suo tempo. Oggi viviamo una frazione di storia nella quale ci pare di essere al colmo del male, dove il bene non si vede e non riesce a crescere, a contagiare, a rinnovare. Ma penso che avere uno sguardo più ampio e profondo possa esserci di grande aiuto. Quel che ora non fruttifica domani può germogliare".